Campania Wine: cinque etichette meno note che vale la pena provare

Campania Wine: cinque etichette meno note che vale la pena provare

di Alessandro Marra

Di ritorno dalla seconda edizione di Campania.Wine, l'iniziativa promossa in cooperazione dai 5 Consorzi di tutela del vino campano (Caserta, Irpinia, Salerno, Sannio e Vesuvio) e dal Consorzio del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio, ecco una piccola compilation di assaggi significativi. Ho scelto di soffermarmi su qualche “nome nuovo” della regione, uno per provincia (in ordine alfabetico), tra denominazioni più o meno celebri e aziende più o meno affermate.


Greco di Tufo Le Arcaie 2022, Passo delle Tortore (Avellino)

Quello licenziato da Passo delle Tortore – giovane azienda di Pietradefusi, un paesino di poco più di duemila anime all’estremità dell’areale del Taurasi Docg, verso la provincia di Benevento – è un Greco di Tufo sensibilmente diverso rispetto alle interpretazioni maggiormente in voga. Lo firma Francesco De Pierro, giovanissimo enologo sannita, già allievo del professore Moio e con esperienze lavorative in Francia, tra Bordeaux e Côtes du Rhône. La particolarità, peraltro comune a tutti gli ottimi bianchi della batteria, è che il 30% della massa fermenta e affina in legno piccolo. Le Arcaie 2022 (da uve di Montefusco) ha grip, allungo, complessità, un sorso verticale e dritto, ma ben contrastato dalla parte più grassa data dall’uso del legno.


Levata 2022, Monserrato 1973 (Benevento) 

La prima delle due etichette a base falanghina dell’azienda di Lucio Murena – sulla carta quella più semplice – è anche la mia preferita. Dalla prima annata (2018) non credo di esserne mai stato deluso: piena, strutturata, sapida, gustosa, a conti fatti un'ottima interpretazione della varietà. Un bianco di carattere, che nasce alle porte del capoluogo, in contrada La Francesca, a quota di media collina (circa 290 metri sul livello del mare), su terreni argilloso-tufacei esposto a sud/sud-est. La consulenza enologica è affidata a Fortunato Sebastiano, l’enologo interno è la giovane Anna Russo.


Veritas 2022, La Masserie (Caserta)

Sara Carusone va ormai da sola e la 2022 è stata la prima vendemmia in autonomia. Il rosa di casavecchia – il nome dell’uva rinvenuta nei pressi di un casolare dal contadino Scirocco Prisco – si conferma tra i migliori vini della piccola azienda di Bellona (CE). È un rosa dal colore vivace e accattivante, che ha slancio, una parte floreale e agrumata che incita alla beva, un sorso gustoso e di ottimo allungo acido-sapido. Niente male davvero. Sull'etichetta – in questo, come pure negli altri vini – ci sono i quadri del pittore napoletano Bruno Donzelli.


Cataluna 2022, Tenuta Augustea (Napoli)

Un tempo conosciuta come uva da tavola, la catalanesca – importata dalla Catalogna da Alfonso I d'Aragona nel XV secolo, che la fece piantare alle pendici del Monte Somma – era tradizionalmente utilizzata sulle tavole del Natale. Tenuta Augustea, spin-off dell'azienda madre di Marco Vincenzo Nocerino a Somma Vesuviana, ne produce una versione in purezza con i grappoli delle vigne terrazzate a piede franco di Madonna delle Gavete e Madonna di Castello, all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio. Antonio Felaco, il giovane enologo interno, sperimenta costantemente nuove soluzioni e così, per il primo anno, in pressa sono finiti i grappoli interi, senza diraspo-pigiatura; il mosto fiore è stato fermentato a temperatura controllata e poi affinato in acciaio fino al travaso di gennaio in serbatoio coibentato, dove sono stati effettuati batonnage per due mesi, fino all'imbottigliamento nell'aprile successivo. Bianco gradevolmente fruttato e floreale, unisce impressioni di rotondità a opposte sensazioni di freschezza e sapidità.


Patrinus 2021, Il Colle del Corsicano (Salerno)

Prima ancora che l’etichetta in sé, la cosa positiva dell’ultima carrellata di assaggi è stata l’aver constatato un notevole accorciamento della forbice tra il Fiano Licosa (dal nome di una vigna spettacolosa sul mare di punta Licosa, fin qui il vino più solido della batteria) e il resto della produzione, a cominciare dal rosa di aglianico Furano, più scarico sia nel colore che nell'approccio gustativo. Alferio Romito, un passato da cantiniere al cospetto di Luigi Maffini, vero e proprio pioniere della viticoltura cilentana, ha studiato da enologo, poi ha fatto tutto quello che è necessario fare: “impara l'arte e mettila da parte”, si dice. Il Patrinus, vino con dedica al padrino, contempla un 7% di saldo di primitivo, uva storicamente piantata dal papà di Alferio in contrada Franco a Castellabate (dove troviamo impianti risalenti in parte al 2004 e in parte al 2011) e un breve passaggio in legni piccoli di vario passaggio. Il primitivo dona un equilibrio gustativo notevole, pur essendo al cospetto di un rosso di struttura, con un sorso molto concessivo: profumi e sapori di piccoli frutti rossi e di bosco, ricordi finali di liquirizia.

 

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